Pittori Macchiaioli

 

Quello macchiaiolo, è uno dei movimenti più significativi nella storia dell’arte ottocentesca. Nasce nel cuore di un’importante città d’arte come Firenze, in un pubblico ritrovo, il cui nome diventerà famoso e sinonimo degli incontri dei macchiaioli: il Caffè Michelangelo.

Il movimento è uno dei pochi nel panorama ottocentesco, e l’unico degli ultimi decenni del secolo, che possa definirsi come una vera scuola, sia per i grandi risultati raggiunti, sia per la comunità di intenti che lo tiene unito, nonostante le diverse culture e tradizioni dei componenti, provenienti da ogni parte d’Italia.

ll movimento pittorico dei Macchiaioli è attivo tra l’Ottocento e il Novecento.

Al Caffè Michelangelo a Firenze, attorno al critico Diego Martelli, un gruppo di pittori dà vita al movimento dei macchiaioli.

Questo movimento vorrebbe rinnovare la cultura pittorica nazionale. La poetica macchiaiola è verista opponendosi al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo accademico, e sostiene che l’immagine del vero è un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro, ottenuti tramite una tecnica chiamata dello specchio nero, utilizzando uno specchio annerito con il fumo permettendo di esaltare i contrasti chiaroscurali all’interno del dipinto. L’arte di questi pittori consisteva “nel rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri”. I principali esponenti di questa corrente pittorica furono:

Ebbe un esordio “macchiaiolo” Giovanni Boldini.

Il nome fu utilizzato da un giornalista per la prima volta nel 1862 in occasione di un’esposizione fiorentina. In realtà l’espressione fu coniata dal giornalista in senso piuttosto denigratorio, ma i pittori oggetto della definizione decisero da allora in poi di adottare tale termine come identificativo del loro gruppo.

Il contenuto paesaggistico tipico del movimento dei Macchiaioli viene più volte ripreso per coerenza dell’opposizione verso gli ideali del Purismo, tra cui il sublime teorizzato da Edmund Burke, un sublime simbolico e non percepito nella realtà dei partigiani. Il sublime dell’arte italiana invece è molto simile a quello della Vastitas, apprezzato nei paesaggi a campo aperto dagli stessi partigiani, tra cui Giovanni Fattori. Il nome fa riferimento al fatto che questi pittori eliminavano totalmente la linea ed il punto geometrico, in quanto non esistenti nella realtà, usando vere e proprie macchie di colore.